Una recente ordinanza della Corte di Cassazione – la 9453/2023 – riaccende i riflettori sulla possibilità di licenziamento del lavoratore per “scarso rendimento”.
Secondo la Cassazione, tale causale di licenziamento rappresenta un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore.
Ovviamente per poter procedere al licenziamento non è sufficiente un semplice mancato raggiungimento di risultati attesi, ma sarà onere del datore di lavoro provare che detto risultato derivi dal colpevole negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione.
Uno dei mezzi di prova utilizzabili dal datore di lavoro è rappresentato dalla comparazione dei dati relativi all’attività del lavoratore con quelli relativi all’analoga attività di suoi colleghi in simile posizione.
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione era stato possibile rilevare che il lavoratore avevo reso una prestazione lavorativa insufficiente e, nel confronto con altri colleghi del medesimo ufficio, veniva evidenziata una rilevantissima sproporzione tra le prestazioni. La stessa Cassazione, chiarendo che il semplice mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce inadempimento di per sé, ha affermato che lo scostamento da parametri usati per accertare se la prestazione è eseguita con diligenza e professionalità, “può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo”.