Società di comodo: con la riforma Irpef si allentano i parametri

Le cosiddette "società di comodo", conosciute anche come "società non operative", sono un tema centrale nella normativa tributaria italiana, introdotte per contrastare l'uso improprio delle società a fini elusivi. La disciplina mira a individuare quelle entità giuridiche che non svolgono un'effettiva attività economica, ma vengono utilizzate per conseguire vantaggi fiscali, come la detenzione di beni o il rinvio del pagamento delle imposte.

Una società è considerata di comodo se non supera il test di operatività, basato su un confronto tra i ricavi effettivamente conseguiti e i ricavi presunti calcolati in base ai beni posseduti.

Il test di operatività si basa su parametri prestabiliti (coefficiente sui beni immobili, mobili registrati, partecipazioni, ecc.) che determinano i ricavi minimi presunti. Se i ricavi effettivi non raggiungono questi valori, la società viene classificata come non operativa.

Essere considerati “di comodo” comporta delle conseguenze penalizzanti per la società, in particolare:

  • anche in assenza di redditi effettivi, viene tassato il reddito minimo presunto
  • esistono limitazioni alla compensazione dei crediti fiscali: restrizioni nell'utilizzo dei crediti IVA e di altre imposte.
  • per l'IRES è previsto un incremento dell’aliquota applicabile.

Con l’approvazione del decreto di riforma Irpef-Ires viene in parte allentato il meccanismo delle società di comodo, in particolar modo intervenendo sia sulle aliquote volte a determinare i ricavi minimi che fanno stare fuori dal regime, sia sulle aliquote volte a quantificare il reddito minimo tassabile in caso si rientri nel perimetro di non operatività.

In particolar modo, per quanto attiene al calcolo dei ricavi minimi, già dal 2024 si applicheranno le seguenti aliquote:

  • 1% (in luogo del 2%) sul valore delle partecipazioni, titoli e crediti finanziari;
  • 3% (in luogo del 6%) sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili, anche in leasing;
  • 2,5% (in luogo del 5%) per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10;
  • 2% (in luogo del 4%) per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei 2 precedenti;
  • 0,5% (in luogo dell’1%) per tutti gli immobili situati in piccoli Comuni.

Per quanto attiene al reddito minimo, si applicheranno le seguenti percentuali:

  • 0,75% (in luogo dell’1,5%) sul valore di partecipazioni, titoli e crediti finanziari;
  • 2,38% (in luogo del 4,75%) sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili, anche in leasing;
  • 2% (in luogo del 4%) per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10;
  • 1,5% (in luogo del 3%) per le immobilizzazioni costituite da beni immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei 2 precedenti;
  • 0,45% (in luogo dello 0,9%) per tutti gli immobili situati in piccoli Comuni.

Società di comodo: la detrazione Iva non può essere impedita

La normativa italiana sulle società di comodo è incompatibile con le norme comunitarie in materia di Iva. A stabilirlo la Corte di Giustizia Europea che ha contestato il mancato rispetto del principio di neutralità dell’Iva e di proporzionalità.

La normativa italiana in merito alle società di comodo prevede infatti l’impossibilità di chiedere a rimborso o compensare orizzontalmente in F24 il credito Iva risultante dalla dichiarazione annuale.

È altresì impedito lo scomputo dell’Iva a credito con quella a debito relativa ai periodi d’imposta successivi, se ricorrono contestualmente due condizioni:

  • La società risulta per tre periodi consecutivi non operativa (non raggiungendo quindi l’ammontare minimo di ricavi previsti dalla norma)
  • La società non ha effettuato, in nessuno dei tre periodi d’imposta, operazioni rilevanti ai fini Iva per un importo almeno pari all’ammontare minimo previsto dalla norma.

La Corte di Giustizia è intervenuta affermando che è impossibile negare il diritto alla detrazione dell’Iva sulla base di una presunzione fondata solo sull’ammontare dei ricavi percepiti inferiori ad una soglia considerata “insufficiente”, perché questo mina il principio di neutralità dell’Iva che deve incidere sul consumatore finale mentre, con la normativa italiana, incide anche sull’operatore economico.

L’effetto immediato della decisione della Corte è quello di portare ad un’immediata disapplicazione della norma, che deve essere interpretata in senso conformo a quanto deciso anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa.

Quindi:

  • per i controlli e/o per il contenzioso in corso, la decisione della Corte di Giustizia dovrà essere subito presa in considerazione, con esclusione quindi solo degli accertamenti divenuti definitivi e delle sentenze passate in giudicato;
  • sarà possibile presentare dichiarazioni integrative che consentano il recupero del credito Iva illegittimamente disconosciuto.

Sarebbe in ogni caso auspicabile un intervento dell’Agenzia delle Entrate che dia istruzioni in merito agli uffici periferici e che chiarisca se la sentenza, relativa alla detrazione dell’Iva, sia applicabile – come pare logico – anche alla parte della norma che limita il diritto al rimborso dell’Iva e alla compensazione orizzontale, modificando di conseguenza anche tutti i modelli dichiarativi.

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