L’esistenza di una contabilità “in nero” o “parallela” rispetto a quella ufficiale risultante dalle scritture contabili, rappresenta un grosso rischio per l’imprenditore in quanto rappresenta un elemento probatorio, anche se presuntivo, in relazione alla possibile esistenza di operazioni non contabilizzate.
In sede di accesso, i verificatori, oltre a richiedere la documentazione contabile ufficiale, possono acquisire documentazione extracontabile quali agende, rubriche, schedario clienti e fornitori, corrispondenza, preliminari, ecc, sia di tipo cartaceo che informatico, acquisendo la copia per immagine dei supporti di memorizzazioni alla ricerca di files, anche cancellati ma latenti, che evidenzino la prova di operazioni non contabilizzate.
Il ritrovamento di una contabilità parallela legittima gli accertatori all’utilizzo dell’accertamento induttivo, determinando l’imponibile sulla base di elementi meramente indiziari, prescindendo quindi in tutto o in parte dalle scritture contabili ufficiali.
Sul punto la giurisprudenza è chiara nell’affermare che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la ‘contabilità in nero’, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (…). Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo (…), incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli” (Cass. Ord. 22265/2014)
È quindi evidente che il rinvenimento qualsiasi documento extracontabile, cartaceo o informatico, che dimostri la possibile esistenza di operazioni non contabilizzate, mette in mano ai verificatori uno strumento molto incisivo di accertamento, ribaltando sul contribuente l’onere della prova che, in molti casi, risulta poi difficile fornire.